di Oscar Reyes eTamra Gilbertson, traduzione di Adele Palermo
Miliardi sprecati con il programma per il clima delle Nazioni Unite, La verità su Kyoto: enormi profitti, poco carbone risparmiato, Le Nazioni Unite in tumulto sul taglio delle emissioni. Questi titoli raccontano la storia del crescente fallimento delle azioni di governi, istituzioni finanziarie per quanto riguarda iil cambiamento climatico. Questo è il mercato del carbonio: un sistema pluri miliardario la cui premessa è quella di consentire a coloro che inquinano di pagare qualcun altro che ripulisca la loro immondizia.
European Union Emissions Trading Scheme: un mercato da 63 milliardi di dollari
Il mercato del carbonio è un sistema complesso dallo scopo molto semplice: rendere il raggiungimento dell’obiettivo “riduzione emissioni” più economico per le compagnie e per i governi. Questo si realizza in due forme : il “cap and trade” e l’ “offsetting”. Attraverso lo schema del “cap and trade” (tetto di emissioni di carbonio, ndr), i governi o le istituzioni transnazionali, come la Commissione Europea, rilasciano delle “licenze” per l’inquinamento (o “permessi per l’emissione di carbonio”) alle maggiori industrie. Colui che inquina, quindi, anzicché ripulire, può vendere questi permessi ad altri che siano in grado di realizzare dei cambiamenti “equivalenti” ma a costi inferiori. È questo l’ European Union Emissions Trading Scheme (EU ETS), il più grande mercato del carbonio del mondo, il cui valore ammontava a 63 miliardi di dollari nel 2008 ed è in continua espansione. Secondo tale schema la disponibilità di permessi per l’emissione di carbonio si ridurrà drasticamente, assicurando una scarsità che consentirebbe al mercato di conservare il suo valore e, allo stesso tempo, costringerebbe ad una riduzione del livello di inquinamento complessivo. Tutto il lavoro viene fatto dal “tappo” (cap) che impone un limite al livello di emissioni inquinanti nell’arco di un dato periodo. Ogni succesiva riduzione del Cap rappresenta, in effetti, una nuova misura di regolamentazione introdotta dai governi e dale istituzioni pe ridurre l’inquinamento. Il “commercio” (trade) che costituisce tale schema (Cap and Trade) in realtà non reduce alcuna emissione: lascia semplicemente più spazio alle industrie nella gestione delle emissioni, motivo per il quale quando si parla di commercio del carbonio si utilizza anche il termine “meccanismi flessibili”. Gli impianti industriali che restano molto al di sotto del Cap possono vendere il loro surplus a coloro che hanno fallito nella realizzazione dello schema antinquinamento. Le compagnie che vogliono continuare ad inquinare risparmiano denaro, mentre, in teoria, le compagnie che sono in grado di ridurre di molto le emissioni restando sotto la soglia prevista hanno la possibilità di guadagnare attraverso la vendita delle loro quote. Ma tale flessibilità ha un costo: ciò che risulta essere economico a breve termine non è necessariamente efficace a lungo termine né dal punto di vista ambientale che sociale. In pratica, lo schema ha fallito nell’incentivare la riduzione delle emissioni. Nella sua prima fase (dal 2005 al 2007) il “tappo” sulle emissioni era stato posto ad un livello molto più alto rispetto all’inquinamento esistente in seguito ad una attività di lobbying industriale. I prezzi sono crollati senza alcuna riduzione dell’inquinamento. Nella seconda fase, iniziata nel 2008, i prezzi sono saliti a 30 euro per emissione di “ton di CO2 equivalente” ma da allora sono crollati ad un terzo di tale livello. La spiegazione è semplice. Le distribuzioni sono state fatte in base ad una previsione di crescita delle economie europee; la crisi economica ha ridotto il consumo di energia, lasciando le compagnie con un surplus di permessi di emissione. Il problema si è aggravato a causa del’inclusione di un significativo numero di “carbon offset” all’interno dello schema.
Carbon offset
Il carbon offset è un altro tipo di mercato del carbonio. Anziché tagliare le emissioni alla fonte, le compagnie, e spesso anche le istituzioni finanziare, i governi e i privati, finanziano “progetti di risparmio-emissioni” al di fuori dell’area interessata. Il Clean Development Mechanism (CDM) controllato dale Nazioni Unite è l’esempio più importante di questo schema, con quasi 1800 progetti in attesa di autorizzazione. Basati su prezzi corenti, i crediti prodotti dagli schemi approvati genererebbe oltre 55 miliardi di dollari nel 2012. Sebbene le offset siano spesso presentate come riduzioni di emissioni, queste non le riducono: al massimo spostano le riduzioni dove è più semplice realizzarle, che solitamente implica uno spostamento dai paesi del Nord a quelli del Sud. L’inquinamento continua in una zona perché si presume che si stia realizzando un risparmio equivalente di emissioni in un’altra. I progetti annoverati come a “risparmio energetico” vanno dalla costruzione di dighe idroelettriche all raccolta del metano dagli allevamenti di bestiame industriali. Il risparmio di emissioni di carbonio è calcolato in base a quanto gas serra in meno si riesce a produrre attraverso quel determinato progetto. Tuttavia, anche i funzionari della World Bank, le agenzie contabili, gli analisti di mercato, i broker e i consulenti coinvolti nella pianificazione di questi progetti spesso ammettono in sede privata che non esiste alcun metodo certo per dimostrare che sia il mercato del carbonio a rendere possible il progetto. Il ricercatore Dan Welch reassume la difficoltà: “Gli Offset sono una merce immaginaria creata riducendo ciò che si spera succederà a ciò che immaginavi sarebbe successo”. Poiché le Offset di carbonio rispondono alla richiesta di verificare la riduzione di emissioni in una specifica zona con una serie di possibili storie su ciò che si sarebbe potuto realizzare altrove in un ipotetico futuro, il risultato effettivo pare essere un aumento delle emissioni di gas serra.
Il CDM supporta anche una lunga serie di progetti legati al carburante fossile. Per poter partecipare allo schema, il progetto proposto deve semplicemente dimostrarsi essere più pulito rispetto alla norma preesistente inerente la produzione di energia del posto. Poiché i nuovi impianti sono generalmente più efficienti rispetto ai vecchi, questo non è un grosso problema da risolvere. Un recente studio svolto sui nuovi impianti a gas cinesi, ad esempio, ha scoperto che tutti i 24 impianti di turbine a gas a ciclo combinato costruite tra il 2005 e il 2010 hanno presentato richiesta per i sussidi CDM. Un altro esempio riguarda i nuovi impianti a carbone, coisiddetti “supercritici”, che sono stati considerati idonei ai sussidi CDM dall’autunno 2007 nonostante il fatto che il carbone sia tra le fonti di energia a maggior contenuto di CO2. tutto questo crea un circolo perverso dove, anzicheé considerare una transizione rapida verso l’energia pulita, il CDM sta finanziando una chiusura della dipendenza da carburante fossile fornendo incentive a nuovi impianti a carbone nel Sud e non infrastrutture ad energia rinnovabile connesse ai bisogni locali. L’utilizzo della retorica dello “sviluppo” e della “povertà” per descrivere gli offset, nasconde la loro ingiustizia di fondo: gli offset forniscono un nuovo flusso di entrate ad alcune delle più inquinanti industrie del Sud, offrendo contemporaneamente a compagnie e Governi del Nord un mezzo per ritardare le modifiche da apportare ai loro processi industriali e all’utilizzo di energia. I progetti di offset del carbonio hanno determinato un accaparramento di terre e numerose repressioni delle comunità locali.
Una “bolla di carbonio”
La mercificazione del carbonio ha dato vita a nuove possibilità di profitto e speculazione. Il mercato del carbonio sta già influenzando l’andamento dei mercati finanziari attraverso complessi strumenti (commercio di futures e derivatives) per limitare il rischio e aumentare il profitto speculativo. Questo rischia di creare una “bolla di carbonio” e non sarebbe una sorpresa visto che questo sistema èstato creato dalle stesse persone del Chicago climate exchange che hanno creato i mercati di derivative che hanno portato al recente crash economico. Se l’obiettivo è un fututo più pulito, allora il processo dovrebbe avere luogo altrove. A livello globale , gli investimenti in infrastrutture richiedono finanziamenti pubblici anticipati che dovrebbero provenire per la maggior parte dai paesi industrializzati essendo loro la causa principale del problema. Questi finanziamenti, tuttavia, non sono garanzia di successo a meno che non si adotti una struttura decentralizzata che consenta una significativa sensibilizzazione e partecipazione dei cittadini a livello locale, consentendo l’adattamento e il miglioramento di tecniche agricole e industriali, dando vita ad un assetto ascendente basato sui reali bisogni energetici.
Questo richiede una chiusura urgente del mercato del carbonio. Anzicheé incentivare i mercati di questa nuova merce, gli obiettivi dei paesi industrializzati dovrebbero essere raggiunti localmente. Esiste una lunga serie di regolamentazioni, standard di produzione e incentivi per la realizzazione di questo percorso e queste vanno dal “feed in tariffs” per le energie rinnovabili, ai limiti di emissioni pei produttori di energia e per l’industria pesante. Ma tutto questo non basterà se non torniamo a focalizzare la nostra attenzione sui modelli industriali e agricoli attuali e su come questi abbiano causato il cambiamento climatico. Anziché modellare il dibattito climatico sugli esistenti modelli economici, dobbiamo considerare i cambiamenti climatici un sintomo del loro fallimento ed esplorare metodi realmente sostenibili per andare oltre.
Questo articolo è tratto da una recente pubblicazione dal titolo: Carbon trading: how it works and why it fails, scaricabile
qui.